In passato, partecipare ad un “vernissage” significava essere dei privilegiati, proprio perché solo in quell’occasione l’artista stendeva la vernice finale trasparente, chiamata “atramentum”, affinché i dipinti mostrassero una maggiore lucentezza, prima dell’apertura ufficiale al pubblico, decidendo così di “esporsi” alla pre-visione di tutti i presenti che assumevano a tutti gli effetti i connotati di prescelti…
Oggi, nella maggior parte dei casi, partecipare ad un vernissage significa non essere stati scelti ma scegliere un qualsiasi evento artistico, chiamato appunto vernissage, e recarvisi, senza sapere chi sia l’artista e a che cosa si andrà ad assistere. Dell’ “atramentum” non vi è nemmeno l’ombra. I protagonisti dell’evento in questione diventano, troppo spesso, solo il cibo e l’alcool. Così si vedono aggirarsi in questi luoghi veri e propri “personaggi”, figure evanescenti, che sembrano vagare, solo alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i loro denti super affilati, proprio per placare una consistente e imprescindibile fame, che non è quella legata al cibo, ma soprattutto fame di presenza, che diventa appunto esistenza, in un mondo nel quale si deve a tutti i costi apparire, ritrovarsi per poi riperdersi nuovamente. A queste eteree ed incantate figure il pittore si ispira, allontanandosene però allo stesso tempo. Attraverso ogni suo quadro, sembrerebbe che l’artista abbia passato e ripassato, su questi volti e corpi sfumati e indistinti, proprio quella vernice trasparente, rendendoli esseri vivi…
Matteo Maione